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Il Tè delle cinque domande: Milella, fuori con Fondamentale per Revubs Dischi.

svgAprile 13, 2021INTERVISTEMarco Marzi

Oggi per il Tè delle cinque domande: Milella, fuori con Fondamentale per Revubs Dischi. 

Ciao Milella, e benvenuto su MusikZ. Altro giro, altro regalo: oggi sei al secondo singolo con Revubs Dischi. Da cosa nasce la necessità di raccontarti in “Fondamentale”? C’è un evento primigenio centrale, che ti va di raccontarci?

Ciao Musikz! Grazie mille anzitutto per l’accoglienza. Fondamentale è il mio punto di vista sulla generazione a cui appartengo, una generazione a cui piace spesso dare troppo per scontato ciò che la circonda. Nasce proprio dalla mia esigenza di dover dire, in primis a me stesso, “se non combatti per te stesso, nessuno ti aiuterà ad affrontare la morsa della quotidianità”, cosa che invece viene spesso affrontata dai miei coetanei gettando per terra ogni sicurezza, per correre nel buio di ciò che possa offrire un estraneo/a nei social network. Io preferisco il calore di una carezza che conosco, piuttosto che una serie di conversazioni senza meta. 

Andiamo sulla metalinguistica: che cos’è per te una canzone? Non ci basta la definizione formale, da un cantautore come te!

Per me “canzone” è sinonimo di “terapia”. Non riesco a vedere null’altro che un diario in cui appuntare tutto ciò che è insito in me, per poi affrontarlo con un equilibrio superiore. Che sia un brano da scrivere o uno da ascoltare, la canzone resta la via privilegiata delle persone fragili per levitare, non solo camminare. 

Sembra che oggi un certo tipo di scrittura e di contenuti siano diventati appannaggio solo dei “boomer” o dei “nostalgici”. Si è davvero liberi di fare ciò che si vuole, oppure c’è sempre un occhio da buttare al compromesso e al mercato? Perché il mercato di oggi, a mio parere, sta prendendo direzioni che sembrano sospingere gli artisti lontani dalla narrazione poetica di un autore puro come te. 

Premessa, la mia musica la chiamo in modo affettuoso “nostalgic pop”, perché non c’è secondo me un altro termine per descrivere ciò che voglio raccontare. Detto questo, vedo ogni giorno in prima persona centinaia di artisti che cercano il compromesso o il modo “accattivante” di fare musica, per una via d’accesso preferenziale nei confronti dei metodi odierni di “spam virale”, ma d’altro canto, vedo i miei artisti preferiti continuare a combattere una guerra contro i luoghi comuni, continuando con la narrazione poetica e quindi, non vedo proprio perché cercare di snaturarmi con le ansie che genera un mercato troppo veloce per l’evoluzione artistica, dopotutto la propria libertà bisogna anche saperla costruire e preservare. 

C’è qualcosa, oggi, che vale la pena raccontare? Una generazione da definire, a colpi di canzone? O siamo tutti racchiusi in monadi sole, e in universi a sé stanti?

C’è sempre qualcosa da raccontare perché al contempo c’è sempre qualcosa da imparare. Ogni generazione porta con se un carico di emozioni totalmente differenti da quella precedente e, per quanto potremmo sentirci sempre capiti dai grandi artisti di altre epoche, abbiamo bisogno di scrivere e raccontare anche la nostra, tutti i microcosmi di cui facciamo parte nella nostra quotidianità. Siamo dopotutto una generazione molto curiosa, intraprendente, lo si può vedere anche da come ci siamo approcciati in maniera naturale ai social, quindi potremmo in primis proprio raccontare il modo in cui siamo approdati nell’universo digitale, raccontare gli amori a distanza e i cuori spezzati in cam. 

La cosa più “fondamentale” che ti ha insegnato “Fondamentale”.

Fondamentale mi ha insegnato ad accogliere a braccia aperta il naturale svolgimento delle cose, senza forzature, ma con la voglia di combattere per tutto ciò che amo senza guardarmi troppo indietro. 

Grazie mille a voi per la bellissima intervista!

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